Convincersi per convincere: quindici teste e un’olimpiade

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luoghi ideali donna olimpia

Gran parlare di partito. Anzi di PD. Poco importa che il confronto sia iniziato da un dato poco significativo. Sta ai cittadini svegli non sprecare l’occasione facendosi “incartare” in vacue diatribe tipo “liquido-solido” o “pesante-leggero”. Per noi mille volontari (1000) del progetto Luoghi Idea(li) è l’occasione per condividere, a metà del guado, i risultati della sperimentazione di un partito moderno che stiamo conducendo proprio nel PD. E per capire che ne pensano “quindici teste” che generosamente si sono misurate col nostro lavoro dando corpo – lo capirete dalla vivacità dei commenti – a quell’idea di un “monitoraggio indipendente e pubblico” che è la chiave di un salto in avanti delle nostre democrazie.

Abbiamo in testa un PD palestra di idee e di gruppi dirigenti, che si batta e lavori in ogni angolo del paese perché l’inversione di tendenza divenga realtà, non tanto nelle regole quanto nei comportamenti. Un partito dove il centro sia piccolo, ma robusto e presente luogo per luogo. Dove la base sia radicata nel territorio, ma adotti metodi di mobilitazione e di decisione moderni. Forte nei legami emotivi fra i suoi membri, ma proiettato al di fuori, per intercettare una cittadinanza attiva sempre più autonoma. Diretto da un leader trascinatore – quando mai nella storia un partito ha “sfondato” senza questo requisito ? – ma che si confronti con un gruppo dirigente eccellente, selezionato dai risultati ottenuti nelle pieghe del paese. Che creda e pratichi il pluralismo delle idee, ma sia caparbiamente “di sinistra”, perché sa di essere la voce dei vulnerabili, della moltitudine di cittadini che non possono difendere con successo i propri diritti e interessi attraverso il mercato.

Poiché non abbiamo la verità in tasca. Poiché abbiamo imparato da Isaiah Berlin che “essere di sinistra” significa riconoscere che i valori in cui crediamo possono confliggere gli uni con gli altri. Poiché il metodo di confronto acceso e informato in cui pure crediamo assume forma e può essere appreso solo usandolo. Poiché la sfiducia dei cittadini nei partiti e nello Stato è altissima e ognuno è pronto (forse) a fare la sua parte solo quando vede i fatti. Allora, questo partito nuovo abbiamo pensato di metterlo alla prova sul campo, in alcuni luoghi del paese, con l’obiettivo di “convincerci per convincere”. Abbiamo individuato obiettivi concreti che toccano un pezzo della vita delle persone – un milione di cittadini, abbiamo contato – la cura degli anziani, le bonifiche, il lavoro, i rifiuti, la valorizzazione del paesaggio, l’immigrazione, la relazione eletti-elettori. E li stiamo perseguendo con la mobilitazione “di testa e di pancia” di militanti del partito e di chiunque abbia deciso di crederci. In questo modo, con l’emozione di cambiare davvero le cose, noi mille abbiamo trovato la voglia di andare contro-corrente. Sia rispetto a chi – forte di incrollabili certezze – proclama i partiti istituzioni del passato o enuncia il proprio verbo su cosa dobbiamo fare, sia chi il partito lo concepisce o usa come un comitato elettorale o di potere.

Finiremo la sperimentazione a marzo 2015 e la tradurremo in una proposta per il vertice del partito. Ma la reazione dei quindici supervisori alla nostra Relazione intermedia ci dà già oggi un aiuto straordinario per capire e far capire meglio cosa stiamo facendo (e cosa non vogliamo fare) e come farlo con più efficacia nei mesi che ci restano. Ce ne siamo resi conto discutendone per due giorni , in 45 fra quei mille, in un’Olimpiade – ci divertiamo a chiamare così il seminario, dal circolo Donna Olimpia in Roma che ci ha ospitato – segnata da un clima di grande passione e lucidità, che ci ha dato forza e allegria. Riassumerò allora ciò che i supervisori pensano usando le loro parole più vivide e scusandomi perché certo non farò loro giustizia (e allora leggete gli originali), come non farò giustizia alle due giornate appena richiamate, che pure mi guidano.

Una sperimentazione giusta? Necessaria? Sufficiente?

Considero prima le quattro critiche che possiamo definire “esterne”, ossia che si domandano: Ma l’obiettivo del progetto Luoghi Idea(li) è giusto? E’ raggiungibile? E sollevano dubbi, anche drastici. Che riassumo (ricorrendo a virgolettati) in quattro messaggi, andando dal più lontano al più vicino rispetto a ciò che noi mille “sentiamo”.

Critica n.1 – L’obiettivo è sbagliato. L’obiettivo di “rinforzare il fortino PD” accrescendo la partecipazione dal basso e di “sperimentare un processo di formazione pragmatica degli individui” è a un tempo “insufficiente”, di fronte al “drammatico allontanarsi dei cittadini dalla politica” e sbagliato, di fronte a un “vertice [del PD] sfuggito a ogni controllo” e un “PD diventato … ventriloquo della destra”. La tattica interna al partito a cui questa scelta costringe il progetto produce un linguaggio “prudentissimo”, “infarcito di astuzie verbali”, “democristiano d’antan” (Settis).

Affido ai lettori giudicare il linguaggio della nostra Relazione (“utilità del conflitto, se informato e aperto”, “rimozione [nel PD] della cultura del lavoro”, e cento altre frasi non mi paiono paludate). Mi interessa invece il dissenso sull’obiettivo. Questo dissenso – lo scrivo aderendo all’auspicio di Settis di avviare un’ “animata conversazione” (ma in pubblico, mi raccomando) – nasce a mio parere dal convincimento, suo e di altri, di sapere con certezza cosa sia giusto fare. Se così fosse, la strada faticosa di “formare individui”, lavorare dentro un’associazione, testare i valori su decisioni concrete, sarebbe effettivamente tempo perso. E invece noi, noi tutti, siamo maledettamente ignoranti. Abbiamo in testa alcune stelle polari e qualche strumento per seguirle. Ma per tornare a dare un partito adeguato alla sinistra è necessario un grande, consapevole, monitorato esercizio collettivo di autoapprendimento.

Anche fosse così, si chiede Settis, perché mai farlo dentro questo PD? Perché, rispondo, è un’associazione in cui decine di migliaia di persone, pronte a intraprendere questa strada, regalano il proprio lavoro volontario, usando un patrimonio materiale (le sedi) e di idee che è anche loro. Perché il PD è il solo contenitore democratico in circolazione che consenta di risolvere quello che Sabel definisce il “problema dell’uovo e della gallina”: “per cambiare un partito è necessario andare al di fuori di esso… ma per andare al di fuori è necessario avere almeno qualche forma di supporto dal partito stesso”. Non opportunismo, ma principio di realtà, dunque. E, infine, perché l’egemonia liberista – qui uso proprio un argomento di Settis – si è abbattuta sul PD da ben prima della sua nascita, mescolandosi in modo perverso con il conservatorismo, e semmai ci sono oggi molte più possibilità di liberarsene che non quindici anni fa. Battendosi da dentro e da fuori.

Critica n.2 – L’obiettivo è OK ma bisogna prendere il Palazzo d’Inverno. “Partire dai territori si può e si deve” (Cartocci)… ma i progetti “non hanno massa critica e ricaduta politica … Fossero stati almeno cento”. Sono tollerati perché non “disturbano il guidatore” (Ignazi).”… non potranno mai per aggregazione sostituire un’iniziativa del centro … Non si può risalire dalle differenti periferie al centro” (Cartocci) “E’ possibile una mobilitazione cognitiva dal basso senza obiettivi cognitivi comuni, coerenti e condivisi “generali”, che vadano oltre i singoli, molteplici luoghi?” (Diamanti). “Va proposto un modello organizzativo” (Ignazi).

Il titolo è mio e coglie lo spirito del messaggio, che invita a compiere il passo di una proposta nazionale alternativa, del lancio di un “antagonismo politico” a chi oggi guida il partito. Certo, rispondo io, il cambiamento richiede a un certo punto la proposta di un modello organizzativo e di un nuovo Statuto e un dialogo anche serrato con chi pratica strade diverse. Ma non è pensabile replicare l’errore iper-illuminista che condusse allo Statuto attuale del PD, scrivendolo a tavolino. Bisogna sperimentare, apprendere dalla pratica come modificare le regole del gioco. I sei mesi di esperienza ci dicono che è ben possibile mobilitare conoscenze ed emozioni anche solo “simulando” l’esistenza di un centro nazionale. E infine: cosa mai cambierebbe con la “presa del palazzo” se essa non avvenisse sulle gambe di centinaia e migliaia di quadri formatisi dentro un modo diverso di essere partito ? Nulla, è la mia risposta.
Il che ci porta ai due messaggi che partono dal forte riconoscimento che sperimentare è indispensabile. Ma …

Critica n.3 – La sperimentazione è indispensabile, ma motore del cambiamento non è il partito, bensì la cittadinanza attiva … che si fa governo. La mobilitazione dei cittadini per influenzare le scelte pubbliche che li riguardano “non funziona” se i processi sono diretti dal partito, verso cui essi mostrano “sacrosanta diffidenza”. “Gli iscritti al partito faranno parte di tali processi a titolo individuale”. “Il partito in quanto tale” non può essere “motore del cambiamento”, agire da intermediario, ma ha il compito di assicurare che esistano gli spazi di pubblico confronto fra i cittadini organizzati e lo Stato. “La nuova leadership che nasce dal partecipare … può scegliere poi se candidarsi come parte del partito o in modo autonomo con liste ad hoc …”. Questo è il modo di uscire dalla crisi della democrazia. (Sclavi)

E’ il racconto chiaro di una strada diversa, che con la nostra condivide il metodo. Ma qui sono le organizzazioni di cittadinanza attiva (che si fanno governo) a usarlo. E’ una strada che ha prodotto “sindaci arancioni” e nuove esperienze, in piccole e grandi città del paese. Interessanti. Ma gli esiti sono ancora incerti. Assai incerti. Non per caso.

Perché, mancando il “motore” di un partito democratico, dotato di regole interne per decidere e rappresentare, la guida dei processi tende a scivolare – contro le migliori intenzioni – nelle mani di “saggi” che finiscono per accudire non solo il metodo ma le decisioni. Ovvero, nelle mani di leader auto-cooptati, come nelle peggiori versioni del partito-comitato-elettorale. E perché le organizzazioni di cittadinanza attiva per loro formazione e natura, decisive e indispensabili come sono diventate, rappresentano comunque interessi circoscritti, “locali”, mancando dell’aspirazione universale di un partito nazionale, che “è costretto” a guardare le cose da molteplici punti di vista, affrontando il tema del conflitto e del punto di equilibrio fra interessi diversi. Quando poi la “nuova leadership” della cittadinanza attiva si fa effettivamente partito, “siamo da capo a quindici”: un partito identificato con lo Stato, senza l’apertura esterna che solo un partito può avere.

Come prendere il tè in una casa in caduta libera

La sperimentazione è indispensabile ed è condizione necessaria della costruzione di un partito nuovo di sinistra, ma non è sufficiente perché il partito va da un’altra parte. “L’obiettivo di <<mi pare di ardua praticabilità”. Il tuo esperimento rischia di apparire come un tentativo solitario e personale mentre il partito va da un’altra parte” (Bevilacqua). “Come incrocia il dibattito di oggi sul partito <> e i suoi dirigenti reali che vanno in tutt’altra direzione?” (Sales). “la transizione da partito di iscritti a partito di elettori sta procedendo rapidissima … un esito in larga parte già prefigurato dallo Statuto del PD” (De Martin). “Lo so che a livello locale si possono sperimentare nuove modalità di rappresentanza democratica … senza scomodare i massimi sistemi. Ma … la passione [che pensi e pensiamo debba muovere la politica] è un sentimento universale che coinvolge le persone per intero, la quale non può avere un occhio aperto sul locale l’altro chiuso sul resto del mondo” (Bevilacqua).

Torna il tema del contesto in cui la sperimentazione ha luogo. Pur riconoscendo qui che sperimentare è indispensabile si sottolinea che il PD accelera in direzione opposta all’esperimento. “Come prendere il tè in una casa in caduta libera?” è stato il modo in cui, ricordando Alice nel paese delle meraviglie, abbiamo riassunto il problema durante le nostre “Olimpiadi”.

L’immagine di primo acchito non ci ha confortato. Se noi, il tè e la tazzina prendiamo il moto della casa ci ritroviamo dritti dritti nella degenerazione autoritaria o nell’evanescenza –scegliete voi – a cui è destinato il processo in atto: appagati di bere il tè (l’occhio aperto sul livello locale), saremo ciechi su dove è finita la casa (l’occhio sul mondo). Ma se noi, il tè e la tazzina abbiamo una nostra forza autonoma allora possiamo invertire quel moto. E se è vero che in questi ultimi mesi si è chiuso lo spazio nel PD fra il “partito ditta” e il “partito presidenzialista”, questo è in realtà un bene, perché toglie l’idea che il “partito palestra” sia un compromesso fra i due. Niente affatto. Il partito palestra scardina vecchie e nuove burocrazie, vetero-feudali o neo-imperiali che siano. E apre davvero a un mondo dove il volontariato politico sia di chi ha la conoscenza e la passione civile per cambiare le cose. Ma per arrivare in porto abbiamo bisogno di tempo. Noi ci siamo presi fino a marzo 2015, per un primo stadio. Che ci consentirà di formulare una proposta all’intero partito, sulla base dei risultati che avremo ottenuto. Per provare a “convincere”. Poi valuteremo come proseguire la strada.

6 precetti: come convincerci e convincere meglio

Tutte le altre osservazioni sono, come si dice, “interne” al nostro lavoro, ossia alla logica della sperimentazione come la sola strada possibile. Colgono la novità assoluta per l’Italia di un modo di procedere graduale e monitorato. La “spietata onestà” nel raccontare difficoltà e fallimenti, nel descrivere lo “strenuo e faticoso remare contro corrente” e le “resistenze ideologiche e esistenziali e di risultati sui quali aleggia il timore che appena ti volti tutto torna come prima” (Sclavi); o gli ostacoli derivanti da un contesto segnato da “litigi interni al partito e [da] una generale disaffezione per la politica” (Saraceno). “La dedizione e l’ingegnosità dei partecipanti” (Sabel). “La vasta aggregazione di forze che viene tentata” (Biasco). Dopodiché, avendo letto in profondità non solo il Rapporto generale ma le Relazioni dei singoli luoghi – grazie ! – i nostri supervisori ci danno suggerimenti importanti su come procedere. Che così riassumo:

Né subire, né imporre valori e preferenze. Nell’affrontare il tema dei valori, evitate di schiacciarvi in uno dei due seguenti errori: “una tabula rasa valoriale” in cui da sondaggi, interviste, questionari si ricavano preferenze con un atteggiamento passivo, quasi senza entrare nelle motivazioni e nella ragionevolezza – scriverebbe Sen – di tali preferenze; o al contrario ”l’imposizione di valori ai cittadini che devono essere informati o sensibilizzati, senza mettere a repentaglio la tenuta di tali valori”(Granaglia). E allora: “più interviste sulla base di storie di vita”, da cui emerga come quelle preferenze si sono formate (Sclavi). D’accordo. Ci proveremo con impegno.

Demolire con più durezza i rituali partecipativi del vecchio partito di massa. Enfatizzare che “una normale assemblea non è il luogo adatto per l’ascolto reciproco e per inventare soluzioni creative di mutuo gradimento”; dare più spazio nelle plenarie ai lavori dei piccoli gruppi” (Sclavi) Sono esempi del vasto armamentario di un nuovo modo di partecipare, decidere e interagire con le istituzioni che non può restare relegato a momenti episodici pur simbolicamente importanti – si pensi al messaggio innovativo della Leopolda – ma diventare prassi quotidiana ordinaria. E che Luoghi Idea(li), come altre esperienze contigue, possono narrare al resto del PD. Lo faremo.

Fare più francamente i conti con l’emotività. “La mobilitazione cognitiva si mostra essere anche emotiva; e dunque deve imparare a fare i conti con/gestire con sapienza dinamiche di gruppo, abbandoni, dovuti a resistenze e rimozioni” (Rossi Doria). D’accordo, lo stiamo imparando.

Tradurre l’obiettivo del progetto in un simbolo. “Va individuato entro un determinato periodo di tempo un (1) << artefatto simbolico-operativo>> che sia capace di catalizzare attenzione e operatività” . Durante le “Olimpiadi” abbiamo giudicato che il tempo fosse maturo per scegliere per ogni luogo il simbolo appropriato e farne il riferimento verificabile di cosa il progetto potrà lasciare, e dunque del racconto di come ci saremo riusciti (o no !). Vedrete presto …

Estrarre più informazioni da ogni processo, per usarlo davvero come prototipo. Visto che il progetto di ogni luogo ha l’ambizione di essere “idealtipico”  (Diamanti), allora dobbiamo “chiedere maggiori informazioni”: “i progetti non tentano “di spiegar, successi e fallimenti e soprattutto le scoperte che lasciano interdetti o di stucco” (Sabel). Sin dall’inizio abbiamo aperto e compilato “Diari di Bordo”, proprio con questo intento. Ma dobbiamo lavorarci meglio, con queste domande in testa, con ancora più franchezza, con metodo. E lo stesso vale per la valutazione nazionale … Per capire se l’esperienza sta davvero selezionando classe dirigente bisogna chiedersi dal livello nazionale se “i gruppi si sono arricchiti di nuovi membri e/o ne hanno perso per strada”. E bisogna indagare l’efficacia dei progetti in modo diversificato a seconda che essi siano prevalentemente “strumento di innovazione sociale ovvero promotori di innovazioni nella soluzione di problemi collettivi”, e a seconda che il successo sia legato alla replicabilità della soluzione in altri luoghi ovvero del metodo impiegato nello stesso luogo (Dente).

Incontrarsi in fraternità per discutere i 15 “valori di sinistra” identificati da Luoghi Idea(li). Occorre dare più rilievo, anche nella piattaforma, alle 15 proposizioni sui valori di sinistra identificate nel progetto, poiché articolano “un’idea convincente e profonda di sinistra”, “non possono in alcun modo essere date per scontate nel PD del 2014” e dovrebbero essere il punto di partenza di incontri promossi nei Luoghi Idea(li) per “leggere e commentare assieme testi rilevanti”, aperti a studiosi e a chi è interessato (DE Martin). Un’ipotesi che vorremmo davvero realizzare SE ci verranno in soccorso le forze intellettuali aggiuntive per farlo.

In conclusione: “a titolo d’esperimento” verso “un passaggio ulteriore”

Usciamo dai primi sei mesi e dalla prima tornata di reazioni sui nostri Rapporti con un convincimento più forte di prima. Che non ci sono alternative alla sperimentazione.
Ispirati dal richiamo di Bevilacqua ai “senatori e tecnici di Venezia in pieno Cinquecento” alla prova degli equilibri della laguna, andremo avanti con doppia energia “a titolo d’esperimento”. Senza cedere a nessuna Sirena. Ma sentendo e guardando, con le mani libere, i suggerimenti di grande aiuto che ci avete dato e ci darete. Approfondendo il metodo. E allargando il raggio, nel partito e fuori, dove arrivare con il nostro lavoro. Luogo per luogo.
Arriverà poi, diciamo a Ignazi e a tutti, il “passaggio ulteriore”. Dopo il 30 marzo. Valuteremo la situazione, la posizione della casa (il PD) e le nostre argomentazioni, per decidere come mettere sul tavolo del vertice nazionale del partito i risultati e le proposte finali del progetto.

1 commento su "Convincersi per convincere: quindici teste e un’olimpiade"

  1. giorgio visintini

    l’elaborazione collettiva di un progetto diventa realtà grazie a Internet e all’entusiasmo dei giovani. E’ una strada da seguire , ma che difficilmente produrrà risultati tangibili ( ascolto dal Centro ) nel breve periodo. In parallelo propongo a Luoghi ideali di analizzare la mia idea di PD 2.0 mettendo in rete tutti i segretari di circolo d’Italia. Si può fare con tempi progressivi di attuazione. Buon lavoro

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