Il PD alle prese con un fenomeno virale. Dare ai progetti un centro nazionale

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“A volte ritornano”. Questo è lo spirito un po’ ansioso con cui siamo arrivati a Parma a fine gennaio da oltre venti Luoghideali d’Italia per capire cosa fosse accaduto dopo la fine del “progettone” – quello realizzato per sperimentare un modo moderno di fare partito (il “partito-palestra” lo avevamo chiamato) e concluso il 13 giugno 2015 con nove risultati concreti locali e la proposta al vertice del PD di costruire nel partito un’Officina progettuale permanente. “A volte restano e si diffondono viralmente” Questa è l’immagine con cui ci siamo lasciati, dopo ventiquattr’ore di confronto. Il nostro cambiamento di umore e di slogan ruota attorno a quattro scoperte. Eccole.

La prima scoperta è la sostenibilità. Dei nove gruppi progettuali che erano arrivati in porto dopo un anno di lavoro, due si sono arenati in vicende “di potere” (esterne o interne al gruppo), gli altri sette sono andati avanti dandosi e raggiungendo nuovi obiettivi – fra questi il robusto e innovativo PD di Parma, che non a caso ci ha ospitato – ma in due casi il gruppo ha proseguito al di fuori del PD, come associazione autonoma. Se si considera che ciò è avvenuto nell’assenza di qualsivoglia sostegno esterno – anche da parte del nostro originario gruppo romano di Luoghideali – si tratta di un risultato importante, che denota il radicamento del metodo impiegato, anche in condizioni avverse. Al tempo stesso, gli insuccessi o la fuoriuscita del progetto dal partito, mostrano le difficoltà che il PD incontra nell’ospitare al proprio interno l’approccio progettuale.

La seconda scoperta è la capacità di contaminazione. Senza alcuna azione esterna il metodo – ovvero i metodi, “per non evocare Scientology”, qualcuna ha detto a Parma – ha interessato molti altri pezzi del PD in giro per l’Italia, che lo hanno impiegato per lanciare nuovi progetti, tutti orientati allo sviluppo e all’avanzamento sociale. È così che a Parma sono arrivati gruppi da Torino e Prato, dall’Appenino Reggiano e Roma, da Palermo, Biella e Signa, e altri si sono affacciati (da Pistoia, Reggio Calabria, Sinigaglia) o sarebbero venuti … se l’avessero saputo. Giovani, in media ancor meno dei 33 anni medi dei partecipanti ai progetti fondatori. Di questi nuovi progetti ha colpito il ripetersi di alcuni tratti, che caratterizzano il partito-palestra: l’apertura al contributo cognitivo esterno, specie quello delle associazioni di cittadinanza; l’intensità e la natura informata del pubblico confronto realizzato nel lavoro politico; la fissazione di risultati misurabili e talora il ricorso alla valutazione; la nuova, consapevole separazione fra ruolo del partito e dello Stato. Rispetto all’esperienza del Progettone, si è aggiunto un rapporto più forte fra i gruppi progettuali, con incontri fisici e in Rete.

La terza scoperta riguarda il rapporto fra filiera progettuale e filiera dell’organizzazione (o gerarchica, o “di potere”), sia nei vecchi, sia nei nuovi progetti. Ce n’è per tutti i gusti. In alcuni casi, si osserva un rapporto “ferale”, dove la filiera gerarchica mutila o paralizza i progetti, o li penetra sfasciandoli. In alcuni casi, viceversa, la filiera dell’organizzazione promuove essa stessa quella progettuale, svolgendo una funzione di “affiancamento esterno”, proprio come il modello adottato suggerisce. Ma il caso più interessante e diffuso è quello della “convivenza astuta”: da un lato, la filiera gerarchica capisce che quella progettuale tiene nel PD militanti che altrimenti se ne allontanerebbero e, magari non condividendo la pulsione progettuale, la consente o addirittura la favorisce; d’altro lato, la filiera progettuale capisce che quella gerarchica serve a un partito che sta tentando di rinnovare le classi dirigenti del paese, e, magari non condividendone metodi o contenuti, non la disturba o addirittura la favorisce.

La quarta e ultima scoperta riguarda i confini. I progetti non seguono confini amministrativi, ma abbracciano i territori che la logica del progetto comanda. Insomma, dentro le città e soprattutto a cavallo di città diverse, nascono alleanze fra nuvole di circoli del PD secondo una logica di risultato, di integrazione strategica: Torino o Biella con i loro comuni limitrofi; i Comuni del Sibaritide-Pollino alleati in un circolo tematico; Prato alla ricerca di alleanze super-provinciali; etc. È il segno forte della sconfitta di una logica burocratica e del prevalere di un’attenzione ai bisogni dei cittadini e alle sinergie sociali, economiche e ambientali.

Tutto questo ha avuto certamente luogo anche grazie al lavoro sperimentale di un anno, alla formazione in quel periodo di molti quadri che ora, come scrivemmo, possono trasformarsi in formatori, alla disponibilità sul web di materiali sui metodi. Ma non sarebbe bastato. Sostenibilità, contaminazione, tenuta del rapporto progetti-potere, ridisegno di confini: sono anche il segno di una spinta forte dal basso, diffusa nel paese, che, se non stroncata da logiche di corrente e invece aiutata da metodo e metodi, può trovare manifestazioni concrete, raggiungere risultati. Che ridanno un senso al PD quale intermediario fra società e istituzioni. Come potrebbero darlo ad altri partiti, se cercassero questa strada. Invertendo la gravissima divaricazione fra società e Stato che si sta mangiando la democrazia.

Avremo luogo di tornare – come non farlo davanti a tanto lavoro e convinzione? – sul merito dei progetti ascoltati a Parma. Sui loro obiettivi ricorrenti – la “mappatura” dei bisogni e delle opportunità è tema ricorrente – sui loro punti di forza – attenzione all’inclusione sociale e all’innovazione – e criticità – prima fra tutte la conferma di un’attenzione inadeguata al ruolo del lavoro, della sua emancipazione. Ma ora mi preme cogliere un dato che riguarda tutti i progetti, vecchi, nuovi o appena intravisti. Essi esprimono con forza, esplicitamente o implicitamente, la domanda di un ruolo propulsivo da parte del centro nazionale del partito. E la sua urgenza.

Così come la filiera gerarchica richiede, e ha, un responsabile nazionale dell’organizzazione, così la filiera progettuale ha bisogno di un “responsabile nazionale della rete dei progetti”, una figura espressa da questa progettualità giovanile, affine a essa nelle aspirazioni e nelle prospettive di vita, solida nella determinazione, ben preparata. Come scrivemmo nella proposta del giugno 2015, è necessario insomma che tutti i progetti siano riconosciuti e seguiti in un’Officina nazionale, che dia sostegno e forza ai progetti territoriali, incoraggi l’innovazione, favorisca le relazioni in rete, raccolga e indirizzi la domanda di formazione – non vecchia formazione frontale, ma apprendimento sul campo, dei contenuti e strumenti che “ti servono per lavorare in quel posto, in quel momento, per quell’obiettivo”. La costruzione di questo punto denso della rete potrà far decollare i progetti dove già esistono, incentivarne di nuovi in ogni angolo del paese, segnalare a tutti gli iscritti al PD una volontà concreta di adeguamento del partito alla società in trasformazione.

Tutti noi impegnati sul campo nel praticare un nuovo modo di “fare partito” vogliamo essere certi che a questa domanda, che sentiamo salire con forza, gli organi dirigenti del PD sappiano presto rispondere.

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