• Lunedi presso il Circolo Ponte Milvio si è tenuta una riunione con il Commissario Orfini e gli iscritti delle sezioni del XV Municipio. Purtroppo noi, gruppo di minoranza del Circolo Cassia Tomba di Nerone, ci siamo trovati invitati ad una riunione preimpostata, quella che usa il prosciutto per foderare gli occhi e le orecchie. A noi non è stato permesso di esporre in forma completa ed esaustiva le lamentele e le proposte: ci è stato ridotto il tempo, siamo stati fermati dal tavolo di presidenza durante gli interventi. Insomma non hanno voluto farci parlare con pienezza. Sconcertante ed anti-democratico. Tragico pensando che proprio nel nostro Municipio è partito lo scandalo di Mafia Capitale, ragione per la quale ogni ombra dovrebbe essere dipanata con serietà e responsabilità. Allego l’intervento che avrei voluto fare in completezza.

    Sono Stefania De Angelis del circolo Cassia Tomba di Nerone.
    Mi scuso con i compagni e le compagne, con le militanti ed i militanti presenti perché leggerò questo mio intervento (nonostante sia abituata ad intervenire a braccio).
    Il Circolo Cassia, a partire dal Congresso, non è un segreto, ha vissuto, e sta vivendo momenti difficili: divisioni, antagonismi, segregazioni … tutti esiti di antichi dissapori che non sono mai stati chiariti.
    Ma ci sono stati anche risultati di una consapevolezza che ha ribaltato il potere dell’associazionismo di bandiera: l’aver preso atto della gestione privatistica e pressappochista del Circolo, di una incapacità strutturale, voluta o ignorante, di dare vita alla presenza del partito sul territorio, all’ingresso dei cittadini alle iniziative e soprattutto incapace di farsi carico delle richieste e delle necessità territoriali.
    Il pretesto della ribalta di tale consapevolezza è stato il Congresso, con la mia candidatura a Segreteria per dimostrare attenzioni diverse ed il bisogno che le diatribe nascoste finalmente emergessero.
    Ho sempre detto che il nostro Congresso è stato il segnale di una storia d’amore in dirittura d’arrivo che ha mostrato, svestendosi, le sue nudità: incomprensioni, pretesti, insomma la parte peggiore di un rapporto forzato.
    Ma il Congresso è finito.
    Lo sappiamo, da 18 mesi. Eppure nulla è cambiato nonostante le richieste di intervento alla Federazione assente; sono stati anzi mortificati i molteplici tentativi di apertura e di allargamento, partiti come azione politica di alcuni iscritti.
    Il Congresso è finito.
    Ma la tracotanza e l’antidemocrazia, madre e padre dell’antipolitica, sono i padroni che ancora governano il nostro Circolo.
    L’incapacità dei dirigenti ufficializzati dal Congresso, per i quali il Circolo è divenuto il mantenimento di uno status, la coltivazione di piccoli indefinibili poteri, un bene personale.
    E se il Congresso è finito, perché la Segreteria non lo ha chiaro? Così come non ha ben chiaro che il Circolo è la casa di tutti, degli iscritti e dei militanti, non la casa di qualcuno, non quella casa personale aperta solo per taluni interessi personali.
    E’ stato cancellato completamente il ruolo del Circolo, portandosi dietro questo annullamento il ruolo delle persone, il ruolo del partito, il ruolo degli ideali.
    Noi vogliamo che il Circolo torni ad esistere, anzi a essere. Ecco la nostra parola chiave. Il Circolo come casa di tutti e come tale aperto a tutti.
    Il Circolo come meta dei cittadini, luogo dove si formulano le idee e le proposte da condurre all’amministrazione pubblica.
    Essere per le idee.
    Bisogna ricordare sempre che la politica la fanno i passionari e mai per potere, e mai per soldi. Quando spendiamo il nostro tempo, sacrificando tanto altro, per tutte le chiamate del partito, noi sappiamo di essere parte di qual grande e difficile progetto politico e civile che la nostra città e la nazione stanno attendendo.
    Non dimentichiamo di essere quello che abbiamo scelto di essere: iscritti e militanti.
    Anche per questo abbiamo messo alle spalle il Congresso: se esso è stato una espressione del Pd, noi minoranza siamo conseguentemente l’espressione più razionale e democratica del partito.
    Questo ci fa andare avanti – oltre i Congressi – e oltre le discordie, oltre le discussioni e l’impoverimento intellettuale dilagante.
    E se il nostro Segretario vuole tenere il Circolo chiuso, questo non ci ha impedito di fare la nostra politica sul territorio, i nostri percorsi territoriali hanno virtualmente tenuto aperto il Circolo.
    Nonostante si vogliano sminuire le nostre azioni, attraverso noi il partito ha funzionato, ed i risultati sono visibili nel grande risultato elettorale dei nostri seggi.
    E’ un fatto, non c’è possibilità di discussione.
    Il Congresso è finito.
    Noi lo sappiamo, e lo abbiamo dimostrato. Abbiamo fatto la nostra parte sul territorio e la facciamo ogni giorno. Abbiamo attuato il nostro cambiamento, abbiamo anche “anticipato” il commissariamento del Pd romano.
    La politica si può fare, sempre, in ogni luogo, nei supermercati e nella scuola, in un bar o nel percorso stradale quotidiano, sugli autobus e fra le file di attesa alla posta.
    La politica è dove c’è la gente e dove ci sono le idee.
    La politica si può fare quando si conosce il territorio ed i cittadini di quel territorio, quando le strade si percorrono in lungo ed in largo senza aver paura di stancarsi, di consumare le scarpe e di confrontarsi.
    Se la politica deve essere chiusa nei Circoli, tanto vale che tutti i Circoli vengano chiusi.
    Ma è proprio la parola “chiusura” che non può essere espressione del nostro partito.
    Al contrario, “apertura” è la parola chiave.
    Aprire i Circoli, porte aperte, spalancate, lasciare che i cittadini entrino, trovino risposte e formulino domande.
    Cum panis, compagni.
    Il senso non può non essere questo: condividere e coniugare anche con chi dissente, ma cerca qualcosa.
    Aprire e non lasciare mai indietro nessuno.
    Caro Commissario, chiudere e commissariare i Circoli non è l’idea vincente; molto meglio sarebbe commissariare alcune teste!
    Ripartiamo con il bene comune.
    Aperture ed allargamenti.
    Rimettiamoci a parlare al plurale: il noi, le culture, le differenze, le necessità, le storie.
    Rimettiamoci anche a parlare la nostra lingua.
    Restituiamo i diritti e non elenchiamoli come bisogni, con i loro tavolini traballanti; parliamo con il singolo e non con l’associazionismo; invertiamo la tendenza dei Municipi lasciati soli dal partito.
    Facciamo della periferia la città (è impossibile avere 15 municipi con assessorati differenti e con procedure – per esempio nel sociale – opposte).
    Facciamo che pubblico torni ad essere bene comune, la nostra futura parola chiave; e che privato non sia il participio passato del verbo privare.
    Facciamo nostra la lezione del Beccaria sulla bellezza civile, indispensabile per la realizzazione dell’uomo nella polis.