• Vi segnalo l’articolo di Marco Almagisti uscito sull’Unità di qualche giorno fa, all’indomani del voto per le europee:

    “Il clamoroso risultato del Pd colpisce sia per l’entità che per alcuni elementi di novità. Smentendo tutte le previsioni della vigilia, il segretario del Pd ha raggiunto il 40,8% dei voti validi a livello nazionale distanziando di quasi venti punti il Movimento Cinque Stelle e di altri ventiquattro Forza Italia. Soprattutto, Renzi avvicina al principale partito del centrosinistra italiano segmenti di elettorato da sempre refrattari a considerare l’opzione di voto a favore di questo schieramento.Uno sguardo al territorio aiuta a comprendere la salienza dei processi in atto. Spicca, nella mappa delle ultime elezioni, l’affermazione del Pd in una regione tradizionalmente restia a premiare la sinistra, quale il Veneto. Il Pd di Renzi ha potuto godere di un «effetto alone» dovuto all’appeal del presidente del Consiglio, ottenendo in questa regione un esito straordinario che mai era stato raggiunto da un partito progressista nel periodo repubblicano. Anche in Veneto il Pd risulta il primo partito con il 37,5% dei voti validi e distanzia nettamente le altre formazioni (M5S 19,9; Lega 15,2; Forza Italia 14,7; Ncd/Udc 3,5). Inoltre, il Pd si afferma quale primo partito in tutte e sette le province venete. Che parte del mondo produttivo veneto fosse disposto ad un’apertura di credito nei confronti di Renzi lo si era già potuto intuire dai risultati di un sondaggio curato da Natascia Porcellato e Demetra Opinioni.net per la Confartigianato Imprese Veneto e pubblicato ai primi di maggio: Renzi risultava di gran lunga l’esponente politico nazionale più degno di fiducia (per il 59%; rispetto al 31% di Salvini, al 27 di Berlusconi, al 24 di Grillo e al 21 di Alfano). Mentre, rispetto all’anno precedente, Grillo perdeva 9 punti percentuali, Alfano 8, Berlusconi 4. Sotto la guida di Renzi, il Pd era indicato quale partito preferito dal 34% del campione, davanti al 18 del M5S, di Forza Italia e della Lega (al 9% di incerti e al 25% di astenuti). Risulterebbe fuorviante pensare ad una conversione «a sinistra» delle imprese artigiane o del Veneto in generale. Infatti, il 43% del campione si ritiene «esterno» alla collocazione destra/sinistra (il 9% di centrosinistra e solo il 4 di sinistra, il 6% di centro, il 22 di centrodestra, il 16 di destra), segno anch’esso di una difficoltà a collocarsi entro le categorie tradizionali della rappresentanza politica moderna.Allo stesso modo, ritengo suggestivo ma superficiale il giudizio di chi vede nel Pd di Renzi una riedizione della Dc. E questo per due motivi. In primo luogo, perché la Dc poteva godere di un sostegno relativamente stabile nel tempo che derivava dalla possibilità di tradurre e rappresentare nell’arena politica il capitale sociale prodotto nei secoli dalla Chiesa. Tale elemento ha contribuito a stabilizzare per decenni il consenso alla Dc, alimentando in porzioni ampie della società un «voto di appartenenza», che resisteva anche a fronte di risposte carenti da parte della politica. Difficilmente, in futuro, un partito potrà godere della medesima rendita assiologica di cui poteva avvalersi la Dc (e in modo differente il Pci). Infatti, la fiducia espressa oggi al Pd e al suo leader riflette un consenso più instabile, che proviene in parte da ceti produttivi oggi attratti dall’offerta politica di Renzi dopo aver provato altre strade (Lega, Berlusconi, Grillo) ed essere rimasti delusi. Si tratta di un’apertura di credito molto rilevante, ma non è una «cambiale in bianco», come ha prontamente ricordato sulMessaggero di giovedì 29 maggio Andrea Tomat, imprenditore a capo di Lotto e Stonefly, fino a pochi mesi fa al vertice di Confindustria del Veneto. Il Pd e il suo segretario dovranno dimostrare in fretta di essere meritevoli della fiducia, se non vorranno esporre a rapida erosione questo consenso.In secondo luogo, la spinta propulsiva che proviene da Renzi non mette completamente al riparo il Pd dalle pietre d’inciampo disseminate sul territorio. Questo lo si può vedere nel caso delle discrepanza fra il voto alle europee e quello amministrativo, nel quale le variabili di contesto mantengono un ruolo caratterizzante. Per rimanere in Veneto (ma non mancano esempi nella stessa Italia di mezzo a vocazione «rossa», dove pure il Pd alle Europee di domenica cresce di più rispetto alle politiche del 2013, soprattutto a scapito del M5S), si pensi al caso di Padova. Nella città del Santo il Pd alle Europee, con il 41,4%, supera il dato nazionale, mentre alle amministrative scende al 24,9, scontando le difficoltà di un centrosinistra che ha vissuto in modo lacerante le primarie per la designazione del candidato sindaco e si è presentato diviso al primo turno ed è ora costretto ad un ballottaggio insidioso con un competitor quale il leghista Bitonci. Vicende cosiffatte ci ricordano che un forte leader nazionale è condizione necessaria ma non sufficiente per affermarsi nella contesa politica. Restano fondamentali le scelte fatte sul territorio, la capacità di mantenere nella coalizione gli alleati, l’organizzazione e la coesione del partito. È noto che riguardo a tale questione nel Pd ci siano idee diverse. Potremmo scoprire che sono complementari: il dinamismo del leader, l’organizzazione territoriale, gli esperimenti di partecipazione diffusa che si stanno sviluppando attorno al gruppo di Fabrizio Barca possono convergere per rafforzare il profilo di quello che risulta oggi il primo partito in Italia e la prima forza progressista in Europa”. 

    • Il caso veneto, come suggerisce Almagisti nella sua riflessione, merita un approfondimento. Alcuni dati utili: secondo gli studi dell’Istituto Cattaneo, «I flussi elettorali in 11 città», su cento voti presi dal Pd a Padova più di quaranta provengono da ex elettori di Scelta Civica (29.9%) e Movimento Cinque Stelle (11,6%).
      Vicenza è la provincia in cui il Partito democratico ha guadagnato maggior consensi rispetto al 2013 (+61%) e al 2009 (+90,4%); Verona la terza con +54,8% rispetto al 2013 e +81,8% rispetto al 2009. I dati confermano quindi una disponibilità a verificare, ed eventualmente sostenere, l’attuale proposta di governo. Ad orientare una parte dell’elettorato sembrano essere ancora una volta i ceti produttivi. Decisivi si scrisse già lo scorso anno in occasione dell’affermazione elettorale del Movimento Cinque Stelle in Veneto: grande eco ebbe, infatti, nel febbraio 2013, due settimane prima del voto, l’incontro a Treviso tra Grillo e un centinaio di imprenditori della Marca trevigiana.